“La vita è questo: una scheggia di luce che finisce nella notte”
L.F. Céline, Viaggio al termine della notte
Per presentare Alberto Miotti (Cittadella, 6 maggio 1972) serve uno sguardo complice: si tratta di un artista per il quale arte e vita non conoscono alcun confine, completamente compenetrate.
Alberto è prima di tutto un artista-collezionista, che sin dall’adolescenza vive – e di conseguenza dipinge – con un approccio profondamente personale, catalogico ed enciclopedico. Oggetto della collezione di Alberto non sono tanto i cimeli bellici – di cui possiede un’eccezionale raccolta – quanto la vita stessa, come successione di momenti ed emozioni.
Diplomatosi con il massimo dei voti all’Accademia delle Belle Arti di Venezia, Miotti è l’opposto dell’artista da atelier: trascorre infatti la gran parte del suo tempo fuori, soprattutto di notte, ed è proprio la notte a concretizzare la sua poetica: l’arte, ancor prima di essere trasferita sulla tela, è la sua stessa vita.
“Una candela che brucia da entrambi i lati”
Blade Runner, Ridley Scott, 1982
Le opere di Miotti rispecchiano dunque appieno la sua esistenza: colme di colori, volti, fantasmi, inquietudine e violenza, raccontano un carattere e uno stile di vita senza compromessi, che ha portato l’artista a cercare in tutto – nelle donne, nei rapporti umani e negli eccessi – un parossismo creativo costante, che nella tela si trasforma in colori sempre puri, in un tratto istintivo e veloce, in una narrativa estetica che condensa la sua filosofia di vita. In ogni opera, sia essa un dipinto o una scultura, Miotti racconta se stesso con una sincerità quasi pornografica (non perché il tema sia il sesso, peraltro molto importante, ma perché non è mai presente alcun filtro), che lascia intuire come la sua fonte di ispirazione non sia uno sguardo rivolto alle cose da un comodo rifugio borghese, ma il sangue, il vino, lo sperma, il corpo, la stanchezza delle notti divorare fino all’alba.
Da un punto di vista tecnico ed estetico Alberto Miotti ha attinto con animo aperto al cinema, alla tv e alla grafica. Energia, colore e segno devono anche molto a due artisti in particolare:
L’artista statunitense Joseph Cornell è stato oggetto della sua tesi di laurea. Le sue “Scatole”, molto amate da Miotti, hanno ispirato molte opere dall’artista padovano e in generale l’approccio catalogico della sua poetica. Cornell raccoglieva oggetti dalla strada e dalla spazzatura, Miotti raccoglie esperienze e incontri, come fossero elementi da collocare, tali e quali, all’interno di una scatola immaginaria.
Opera “Scatola” di Alberto Miotti
C’è un altro artista statunitense a cui Miotti guarda con molto interesse: Jean-Michel Basquiat esponente del graffitismo americano, simbolo di quella beat generation che rivoluzionò le vie dell’arte contemporanea. Ritroviamo questo tributo nell’utilizzo di immagini rozze e infantili e nell’inserimento di scritte, come parte integrante o come sfondo dell’opera, a volte cancellate o frammentate come se il tempo ci avesse messo del suo.
Dettaglio dell’opera “Volare” di Alberto Miotti
La tecnica prediletta dell’artista padovano è l’acrilico, che perfettamente si presta alle sue opere su tela, quasi sempre realizzate con colori essenziali e tratti netti. Nelle sculture compaiono invece il legno, il piombo, il silicone e molti oggetti riutilizzati e trovati nei luoghi più disparati. Come se l’artista cercasse di condensare la vita e la storia degli oggetti nelle sue mani forti e delicate. I colori seguono come un termometro i periodi della sua vita, segnati proprio dall’uso del nero e delle tonalità scure piuttosto che dei colori accesi. Il periodo felice dell’Accademia, i primi anni dopo l’università, i momenti più positivi, quelli più cupi, gli innamoramenti e le difficoltà di una vita vissuta agli eccessi. Il passaggio tra luce e buio, tra colore e nero, non è dato da altro, dunque, che dalla vita di Alberto, le cui opere, ancora una volta, si presentano allo spettatore come un’autobiografia.